Mi piace anche solo l’idea di
avere una cosa mia. La mia borsa, con dentro i body di diversi tipi e colori,
tantissime paia di collant, rosa o nere, tagliate, strappate, cucite, sporche,
nuove, porta fortuna e così via. La bustina forata dove metto le mezze, tutte
nere e consumate, a cui io stessa ho cucito i nastri di raso. La bustina di
plastica con la scritta Grishko, le mie Grishko numero 35 dentro, tutte
consumatissime e nere, stupende, che odorano di pece, quell’ “odore vecchio” lo
chiamano, l’odore del legno dell’aula e del palco, l’odore della fatica e del
lavoro. I lacci li ha cuciti nonna, perché le punte sono una questione
importante, e ci va un lavoro raffinato come solo 12 anni di allenamento su scarpette
e scarpette può dare. Grazie nonna, grazie mille per aver contribuito e per
aver messo le tue mani sottili e precise in ogni mio passo.
Una maglia nera a maniche lunghe, da mettere quando i muscoli ancora non sono
caldi, per quando ti fermi e ti senti
gelare il sudore addosso, oppure proprio
per sudarci dentro. Nera, perché ci va disciplina in queste cose.
Le tasche! Un borsello con un mega esercito di forcine, schiere di mollette,
retine per capelli piene di quei buchi che fai perché non hai pazienza di
scioglierti lo chignon prima della doccia, e le retine sono così delicate,
elastici, centinaia, quello sacro che ti prende tutti i capelli in sei giri, e
quelli che si rompono sempre. Quel borsello ce l’ho da tutti e 12 gli anni, non
penso lo cambierò mai. I piccoli ciondoli portachiavi,
così esageratamente graziosi, il minuscolo tutù e la minuscola scarpetta, quasi
un simbolo, un documento d’identità, oserei dire.
Rotoli di nastro medico, forbicine, a volte del filo rosa, una cavigliera per
quando senti male, un burro di cacao, aspirine, sigarette, accendino, pezzi di
carta, opuscoli di spettacoli, ricevute dell’affitto dei costumi di scena,
monetine, calzini, reggiseno, tampax, tutto che si agita sul fondo di quella borsa,
dalla notte dei tempi, qualcosa è cambiato, ma quella mia borsa è sempre parte
della mia anima.
Nella mia stanza, accanto al letto, afflosciata anche tu dalla stanchezza,
tieni compagnia, ti sento vicina, con tutte le mie avventure dentro, tutte le
mie danze, i sorrisi delle mie compagne, le correzioni dell’insegnate, vedo
tutto lì, così come lo sento in me.
Il tessuto della tracolla è così liso che si vede l’imbottitura. Ma non si è
mai stancata, la tracolla, nonostante le due paia di punte, le bottigliette di
acqua, i libri di filosofia per ripassare in aula nei tempi morti. Ogni peso,
ogni sfida, sempre sopportato tutto, borsa mia, in giro per teatri, stage, e
varie sorte di esibizioni, macchie e polvere, odori e musiche di cui sei
impregnata, sei sempre lì, nel tuo alone rosa, il mio zainetto di quando ero
piccolina, che sempre mi sembri leggero e morbido, da appoggiare sulla panca
del camerino, ad aspettarmi lì finché la lezione non è finita. Che ogni volta
che mamma ti lava è una tragedia, da 12 anni, seguo le tue mille giravolte in
lavatrice e controllo che ti asciughi senza perdere la tua preziosa essenza. L’essenza
della mia borsa di danza.
La mia.