- Ci era già stata tante volte in quel posto. Ma quella sera era speciale. Era la sua serata. Ci teneva tanto ad essere presente, e ne era entusiasta.
Ci fu da aspettare un po'. Poi si spensero le luci.
Quando la musica iniziò, pensò che era davvero diversa da quella che era abituata a sentire. I bassi erano forti, una canzone pop, parecchio famosa, le parve di ricordare.
Eccola, ad un tratto apparve Lei, uscì da una quinta del palco. Cavolo. Aveva una minigonna. Addirittura. E i capelli non erano nemmeno raccolti, ma giù giù, lunghi e scuri sulla schiena.
Si muoveva a ritmo e faceva passi che lei non conosceva. Di primo impatto restò basita.
Poi però, Oltre i movimenti, le luci e i capelli, vide apparire trionfante un sorriso grande, con tutti i denti in mostra, di quelli che non faceva spesso, contagiosi da morire.
Capì che era quello che importava, rise e a fine esibizione saltò sulla sedia come una matta per applaudire.
Non vedeva l'ora che uscisse da dietro il palco. Dopo un po' la vide comparire, si fece spazio a gomitate tra le persone che la intralciavano. Si gettarono le braccia al collo e notò che aveva del trucco sugli occhi, le stava bene, ma non la faceva più sembrare tanto Lei.
Fu un abbraccio esuberante, sudato e pieno di brillantini.
Oggi non ricorda esattamente ogni parola di quella sera, ma una frase in particolare, quella, le è rimasta impressa:
"Brava Niky, è il tuo primo saggio!"
- Era una di quelle macchine fotografiche che avevano ancora il rullino. Di quelle che dovevi portare le foto a sviluppare dal fotografo. Che la foto, vedevi se era venuta mossa o centrata almeno il giorno successivo, non pochi istanti dopo lo scatto.
Una gita piccola, di quelle che si fanno alle elementari, senza andare troppo lontano, a vedere uno spettacolino al Piccolo Regio.
Quanto le piaceva (e le piace tuttora), l'ingresso del teatro Regio? Con quell'entrata "a pettine", così lo chiamano, perchè ha tutte le porte in fila. Le colonne di marmo, il pavimento lucido e tutti quei vetri, alle spalle, che salivano in altissimo.
"Dai, mettetevi in posa!"
Sono passati circa mille anni dal tempo della foto, ma quel momento è ancora intrappolato lì.
Una foto che oggi è vecchia, incartapecorita, un po' sgualcita, ma che sopravvissuta al trasloco è ancora attaccata al muro, con un pezzetto di scotch.
Tre bimbe in un abbraccio, sguardi ingenui ma sinceri.
Per quanto Jojo e Zina occupino un degno posto d'onore nel suo cuore, a tutt'oggi, lo sguardo a cui più tiene, è quello dietro gli occhialetti di Giò.
Scrivere mi riesce meglio che parlare, penso. Non so se per una qualche forma di codardia o di eccessiva goliardia.
"Non abbiamo tanto bisogno dell'aiuto degli amici, quanto della certezza del loro aiuto."
Non l'ho detto io, ma un certo Epicuro, vissuto una manciata di secoli prima di me.
Poco importa che sia vecchio. Mi piace, ha un senso. E io ci credo.
Quest'anno è stato abbastanza un devasto a scuola.
Non so se si abbia presente quella sensazione nauseante che si ha quando si è praticamente del tutto demotivati. Quando si perde quella voglia magnifica, quella che si ha quando si hanno sedici anni ed il cervello come una spugna.
Tutto in fumo. Tutto sgualfo, uno smacco, uno sbrodolamento. Una delusione.
Persone che mi hanno chiuso, privato di quegli stimoli essenziali che fanno andare avanti, nessuno mi ha considerata realmente, dando realmente valore al mio lavoro.
Mi sono trascinata avanti nella mia mediocrità, mi accontenterò questa volta, anche se odio sapere che potrei pretendere molto di più da me stessa, ma che lo si creda o no, c'è chi volendolo oppure no, me lo ha impedito. Sono andata avanti, bene o male, con supporti di varia natura, la maggior parte di natura inesistente. Mi ha incoraggiata un unico obbiettivo, ovvero il pensiero idilliaco del triennio che mi aspetta a settembre. Sarà meglio, spero, e se non lo sarà, quantomeno la fortuna girerà.
Biennio insulso.
Tuttavia, al di fuori di quel pessimo ambiente, ora sono ad un punto culminante.
Sono in un momento in cui i progetti su cui ho lavorato un anno intero stanno felicemente giungendo a compimento.
A volte, le persone, per quanto attorniate da chi vuole loro bene, e cerca in qualche modo di offrire aiuto, hanno bisogno di realizzarsi da sé. Intendo dire, se alla lunga non si hanno soddisfazioni da se stessi, si sta male. Qualcosa manca. Ma è un vuoto grande. Realizzarsi vuol dire crescere, ma anche conoscersi. Soprattutto ora, che siamo tutti ancora in erba, che la quotidianità quantomeno non ci ha ancora risucchiati del tutto. Che abbiamo ancora un po' di sangue che circola.
Così sono andata a danza. Quattro giorni su cinque, ora anche nei weekend.
Ho ballato, bello e dovrò ballare tantissimo.
E' un impegno che ho preso, ma senza secondi fini. E' un appuntamento con me stessa, perchè più lo faccio e più ne ho voglia. E se aumento la dose aumento la voglia.
Perchè quella, la danza, in quell'aula col pavimento di legno e degli stupidi specchi, è la sola cosa che veramente mi permetta di esprimere me stessa interamente, senza compromessi.
E se io sto bene con me stessa, ve lo assicuro, sono molto meno insopportabile agli occhi della gente.
Così dopo millemila prove massacranti ed esami, arriva quella lucetta che ti dice: eccola, la tua soddisfazione.
Arriva la borsa di studio. Arriva una cosa in più, un weekend di musical con la professoressa Cava. Arriva i ruolo nel saggio (4 e 5 giugno se può interessare). Arriva il concorso, domani, per l'esattezza.
Ecco cosa vuol dire. Tu, te la sei sudata da sola, solo con la tua passione e la tua fatica.
E' importante.
Solo un anno fa non sapevo far suonare una corda.
Ed ora strimpello canzoni.
Ho iniziato quest'avventura aggrappandomi ai ricordi di una storia un po' troppo assurda e travagliata per essere realizzabile. Non so per quale strambo motivo un pezzo di legno e corde di nylon mi aiutassero a curarmi da quella zavorra risalente all'estate, che mi ostino ad amare ancora.
Ho imparato parecchio, in poco tempo. Al venerdì, unico giorno della settimana in cui non avevo danza.
Quando andavo a lezione all'inizio, tornavo a casa che era già buio. Poi ho imparato sempre più cose, e adesso, quando torno a casa, c'è ancora il sole alto.
Il 25 di maggio faccio il saggio, se può interessare, anche questo.
Infine, io devo scrivere.
Lo devo fare e basta.
Indigestione di coscienza. Scrivere è come infilarmi due dita in gola e vomitare. Ma è un'esigenza.
Il giornalino del liceo, per quanto snobbato o ritenuto di poco conto, ha rasserenato molte mie giornate.
L'unica cosa bella di quella scuola, che mi ha fatto conoscere quelle poche persone sulla mia stessa lunghezza d'onda. Non pensavo mai, ma sono stati loro a trovarmi.
Così ci siamo buttati in questa avventura di capiredattori.
Abbiamo lavorato davvero davvero tanto. E ogni mese sfornavamo 60 e più pagine di scritti per tutto il liceo.
E il 9 giugno usciamo con un inserto di quattro pagine sul Risveglio.
Cazzata, no? No, cristo. E' grande, considerato da dove partiamo.
Dobbiamo scrivere il doppio ovviamente, anche di notte, ma l'importante è che ce la facciamo.
Poco importa che ci leggano in pochi a scuola.
Ce la facciamo sempre. Anche partendo da un settimanale di provincia.
Tutto, ma questo no. Non permetto che un social network rovini i miei rapporti (pochi) con la gente.
Soprattutto se sono sufficienti un link ambiguo, un post in bacheca o un aggiornamento di stato frainteso.
Vivevo lo stesso anche prima di mettere la mia vita in vetrina.
Troppi amici, troppo poca amicizia.
Quindi mi dispiace, ma io me ne tiro fuori.
Dopo aver procurato questa straziante noia ai miei venticinque lettori con la schizofrenica storia della mia vita, rimanderei a Epicuro, qualche riga più su.
Non è non sentirsi, non è non vedersi. Essenzialmente, non è cambiato granché.
A eccezione di quell'idea nel cervello, quella che anche se non siete di fronte ai miei bulbi oculari io abbia la certezza esatta che nel mondo c'è una qualche fonte inesauribile di amore, e quella fonte siete voi.
La sicurezza di un supporto che ho nella testa, che ormai vi senta sulla pelle perchè ci completiamo, perchè le persone si trovano a vicenda su quasi sette miliardi, si legano l'un l'altro, e l'amicizia cazzo non va spiegata, perchè se no la si uccide!
Ma non mi riferisco a ieri e all'altro ieri, ma all'eternità, all'universo, perchè che mi odiate oppure no, che vi dia sui nervi o altro, io non posso fare a meno di perseverare nella mia certezza che non vorrò mai tanto bene ad altre persone rispetto a quanto ne voglio a voi. E su questo non si discute, chiaro?
E non mi interessa se ora vi farò incazzare, perchè uscire il sabato pomeriggio è molto bello, scambiarsi sms è molto bello, ma scambiarsi uno sguardo dall'alto del palco o scattare una fotografia in un'occasione speciale, ve lo giuro, è tremila volte fottutamente meglio.
E so che lo sapete.
Non mi rispecchio nella maggior parte della gente, non la capisco e preferisco starne alla larga perchè faccio solo danni. Voi siete le sole con cui posso togliermi gli stivali di piombo, andare su un terreno stabile che sento mio.
E faccio presente, che se volete delle scuse, sia come vi pare, non è certo un problema per me porvele, ma non provate ad accusarmi di avervi dimenticate, messe da parte, o in secondo posto.
Esigo che voi sappiate che quando io vado a ballare, inizio a suonare o di notte mi metto a scrivere, lo faccio con tutto il mio cuore, perchè solo con la passione esiste la bellezza. E io vi ho nel cuore.
E quando ballo, suono o scrivo, racconto anche di voi.
Cazzo.
Vi amo cazzo.
Tenera, profonda, complicata e vera.
RispondiEliminaInsomma... tu.