giovedì 30 dicembre 2010

E' meglio che vada a letto;

Dunque.
In realtà volevo solo dire che ho scoperto una cosa. Una cosa carina.
Forse si danno per scontate le persone. Banale? Ora mi spiego.
Solo, immaginatevi l'anima, come un posto grande, che non si vede dove finisce, perché in realtà non finisce proprio. Penso che lo si veda dentro gli occhi, oppure quando si muovono le mani...capita che mentre fai un passo magari ne esce un po' fuori e gli altri lo possono vedere. E' una cosa complicata, pure più grande di me, quindi non lo so spiegare bene. Però è proprio bella, ha un buon profumo, tanti colori. E' un posto grande, leggero da portarsi sempre dietro, e comunque è tutto nostro.
Si sa in ogni caso che è più comodo aspettare che si riempia per conto suo, del resto noi ci stiamo comodi anche fuori. Intendo dire che non è obbligatorio pensarci o barricarcisi dentro, perché un po' è subliminale, e la roba si accumula, entra perché gli occhi sono un canale, e la roba la si respira come viene.
Insomma, io non sono molto ordinata, infatti lascio sempre le scarpe sotto il letto e ogni sera ci inciampo dentro, però, in quel posto dietro gli occhi, la roba ce l'ho sistemata che sta bene. Ma solo un po'.
Anzitutto c'è un bell'odore di fresco, come lo senti in montagna. Ogni tanto si scalda e sa di tutte quelle spezie che trovi dentro il the di Natale. Dentro sono piccola, ovviamente, però ci sono una chitarra e un pianoforte, e mi bastano a ballare. C'è una libreria grande, che tiene metri e metri, che se allargo tutte le braccia non la abbraccio nemmeno volendo. Su un ripiano appoggio le mie scarpette e il mio diario, che ha mille miliardi di pagine ancora da riempire, tutte con le righe, non come quello che ho in camera, che a metà finiscono le pagine con le righe e iniziano quelle bianche, e ci scrivo storto -.- E poi c'è una scrivania, di legno chiaro come piace a me, e sopra c'è una macchina da scrivere, di quelle vecchie. Lì è il mio posto preferito, perché di fronte c'è una finestra da cui la luce entra comunque, ma non si vede sempre la stessa cosa se si guarda fuori.
Adesso però basta, non posso raccontare tutto, anche perché appena provo a descrivere per bene qualcosa, qualche dettaglio si sposa e cambia, è un pochino frustrante.
Comunque, la cosa carina è scoprire che questo posto sta in piedi per magia. E non solo grazie a me!
Io in dio non ci credo, pensatela come volete, ma una cosa del genere mi sta stretta. Tuttavia, credo un po' nelle persone, quelle sicure. E scopro che ce ne sono alcune che veramente sono importanti, e altre che si spacciano per tali. Sono di nuovo banale.
Ma dopo che le hai distinte, quelle giuste, ti senti una favola. Capisci che cosa il cielo ti ha donato. Che certe persone dovevano per forza capitarti nei piedi, farti cadere, darti la mano per alzarti, per andare avanti insieme. Altrimenti, se non fossi caduta, un livido in meno, un po' di polvere in meno, troppe cose in meno.
Sono loro che ti liberano la mente quando l'aria diventa troppo stagna, troppo pesante, e i pensieri un po' volano via, un po' diventano di cemento. Sono una cosa che mi piace chiamare "colonne portanti", oppure semplicemente "linfa vitale".
Sono gli amici.
Noooooooo??? Ahah, adesso siete tutti offesi e stufi perché avete perso tempo a leggere per scoprire l'acqua calda! No, mi faceva piacere capirci qualcosa.
Solo dico che non è necessario disperarsi o deprimersi quando qualcuno vi spezza il cuore o vi accorgete che proprio per le storie non siete portati, perché un amico che spunta c'è sempre, qualcuno che è e sarà sempre importante. Qualcuno di sicuro.
Infine, se pure le nuvole sono lente e fanno tardi a mandarvi giù qualcuno, quel posto basta tenerlo un po' pulito e dentro ci si sta di un bene dannato. Anche se a volte ci si sente un po' soli, c'è sempre il pianoforte, o la macchina per scrivere.


- Se non sai quello che vuoi, finisci con un mucchio di roba che non vuoi. 



mercoledì 29 dicembre 2010

Well, I like Words.

Boh, sì, saranno anche pericolose, alle volte. 
Però è pur vero che bisogna buttarle fuori, le parole. 
E poi è bello, no? 
Se sei capace, le puoi anche girare come vuoi, ci puoi giocare, puoi fare cose spettacolari, solo con le parole. Che poi quando le leggi o le pronunci senti che hanno proprio un suono bello, che si cantano da sole. E poi hanno una faccia, proprio le frasi. Ma facce vere, con tutte le espressioni, dettagliate, precisissime, ogni ruga, ogni fossetta. 
Ridacchiano, oppure si fanno i pizzicotti, però alla fine, finita la pagina, insieme ci stanno bene che quasi ti commuovi. Ti commuovi che proprio siano sgorgate giù, fuori dal tuo cervello. Che ti siano uscite fuori dagli occhi e dalle dita, più che dalla bocca. E senza passare dalla bocca si proiettano lì, nero su bianco, e anche se non glielo avevi chiesto, ti dicono chi sei. 
Forse è proprio per questo motivo che mi mandano fuori da morire. 
Le parole, intendo.

martedì 28 dicembre 2010

Un 2011 da masticare

Già, già, tutta questa eccitazione, questa atmosfera alla "-3 a capodanno"...
Eh bè, tra tre giorni inizierà il 2011, fa persino strano...2011, che numero buffo.
Ve lo immaginate? Compito in classe di latino, Ciriè, 18 Gennaio 2011, classe II E...bah.

Devo ammettere che quando ero un po' più piccola credevo ancora nei cambiamenti, nella rivoluzione delle cose. E così quando scoccava la mezzanotte, il 31 di dicembre, a gridare come una matta, a sprizzare felicità da tutte le parti, per l'euforia provocata da uno spettacolo pirotecnico qualunque, che comunque si mostrava sempre meraviglioso ai miei occhi di bambina. Chissà cosa pensavo! Magari di vedere il cielo cambiare colore, anno nuovo, nuovo colore! Oppure che io sarei cambiata, io proprio io, tipo che mi sarebbero cresciuti di botto i capelli o sarei diventata altissima, come diceva il pediatra: "Ahah, sì, sì, quelle come lei crescono tutte in una volta!" Ma anche NO.
In realtà, non contavo assolutamente che certe cose accadessero, più semplicemente, mi piaceva crederci. Ci dava quel tocco di magia, a tutto quel casino, quei botti, al mio gatto che si nascondeva sotto il comò con gli occhi fuori dalle orbite e mio padre che mi versava due dita di spumante nel flute e mi faceva sentire grande.
Tutti fanno festa!

Ma alla fine, dopo aver visto la luna scendere da un lato e il sole salire dall'altro, alle 5.00 passate del mattino, chiudevo gli occhi, e quando li riaprivo all'incirca alle 14.30, il cappuccino nella tazza aveva ancora lo stesso sapore e tanto meno i compiti erano spariti dalla mia cartella. Quindi.
Che passi anche questo capodanno, con questo 2011 che ha un suono buffo, così come lo aveva il 2010 del resto, poi lo sentiremo tutti i giorni, lo leggeremo ovunque, sui display dei cellulari, sui test e sul diario, perciò diventerà normale, tipo il 2005. Non fa mica strano dire "2005", no?

La verità è che di svolte ne capitano davvero poche, e di sicuro, non scelgono un giorno preciso per farlo.
Capitano, se hanno voglia, un po' così...sbrodolate nei mesi o negli anni. E' finita l'epoca delle rivoluzioni, ciao ciao!
Oramai ogni cosa è nuova e rivoluzionaria, quindi, è come se non lo fosse niente. Dispiace, sì sì. Però, con un mondo così, dove in un posto una cosa diventa bella, altre mille ci sputano sopra, ma proprio così, senza nemmeno ritegno, e lì sta il brutto.
Il mondo non cambierà dal 31 dicembre all'1 gennaio, così come nemmeno la mia vita, come non l'ha mai fatto. E penso nemmeno le vostre. Poi, chi lo sa.
Ma perché, perché va così. Non si può cambiare tutto di un colpo un casino grande così, perché è talmente gigantesco, il mondo. Come una mega palla di chewingum, che si attacca tutta la polvere e c'è pure un vermetto che ci ha fatto la casa dentro. Provateci un po' a farlo tornare com'era prima il chewingum, dopo che ve lo siete bene masticato con la vostra saliva in bocca, provate un po' a farlo ritornare il bel confetto rosa e lucido che era quando l'avete tirato fuori dalla scatola. E se ce la fate avrete la mia stima. Anche se non ve ne farete nulla.

Perciò tra tre giorni sì, festeggerò, farò casino e butterò giù nel collo quelle due dita di spumante, stavolta senza sentirmi grande. Ma lo farò così. Ridendo sotto i baffi, chiudendo gli occhi, un po' rassegnata e un po' disperata, festeggiando l'ennesimo compleanno di un mondo incasinato che altro non è che una mega palla di chewingum.

domenica 26 dicembre 2010

She Loves You.

No, cioè.
Io amo questa maglietta che mi potrei ammazzare.
Grazie ancora a chi mel'ha regalata, I love you ^^

Pensavi di aver perduto il tuo amore
Quando la vidi ieri
È a te che stava pensando
E lei mi disse cosa dire
Mi dice che ti ama
E sai che non può essere brutto.
Sì, lei ti ama
E sai che dovresti essere felice

- She Loves You, Beatles

venerdì 24 dicembre 2010

Lettera per Posta Prioritaria

Dunque, in questo momento il caro vecchio Santa Claus starà distribuendo la Red Bull alle sue renne, sarà ormai pronto per la partenza, a meno che non sia uno di quei tipi che fanno tutto all'ultimo minuto.
Magari, se girate un attimo sul TG5, c'è il rischio che lo vediate in uno di quei servizi demenziali che non fanno altro che parlare di quale sia il regalo in cima alle classifiche di preferenza dei bambini che vivono nel Tirolo, piuttosto che in un'intervista, a raccontare che cosa cucinerà per il cenone.
O magari anche no.

Al contrario, io sì che sono una di quelle persone che aspettano fino all'ultimo secondo prima di fare tutto, perciò, spero che il caro Signor Coca Cola non si arrabbi troppo con me se mi riduco alla Vigilia di Natale per mandargli via mail la mia letterina (per motivi di privacy non mi è concesso diffondere il contatto msn di Babbo Natale e nemmeno di rivelarvi il falso nome sotto cui è iscritto a facebook, segreto professionale u.u)
Orbene, eccola qui:




Caro Nicola (posso chiamarti così?),
ovviamente quest'anno sono stata cattiva. Già già, non penso tu ne sia troppo deluso, d'altronde credo te l'aspettassi. Bè, calcola che il fatto che io non abbia ucciso nessuno e nemmeno rapinato l'aula di informatica del liceo sia già una cosa notevole (in realtà per la rapina era già tutto organizzato, ma quando siamo arrivati la porta dell'aula era stata chiusa a chiave dai bidelli, così il piano è saltato e siamo andati tutti al bar di fronte a comprare i Chupa Chups u.u)
In ogni modo!
Sì, in effetti quest'anno ho fatto degli errori che spero saprai perdonare: certe volte non mi lavo bene i denti, butto sempre tutti i vestiti per terra, bevo dalla bottiglia, pasticcio il banco a scuola...basta ti prego, se vado ancora avanti i sensi di colpa mi uccideranno.
Però, visto che di carbone nel camino ne ho già tanto, sarebbe davvero figo che non me lo portassi tu, ma che preferibilmente ti attenessi all'elenco di doni che sto per sottoscrivere.
Per favore, Santa, domani mattina, sotto l'albero, vorrei tanto trovare:
- il nuovo cd degli Skunk Anansie
- il nuovo cd dei Negramaro
- la t-shirt con il logo dei Rolling Stones
- una kefia, il colore sceglilo tu

Sì, sì, finito. Cosa ti aspettavi? Un elenco chilometrico? Ma no, così all'ultimo minuto, guarda che l'educazione un po' so anch'io cos'è.
Ora dovrei andare, anche perchè se non ti sbrighi i negozi li trovi tutti chiusi, pure i discount che fanno l'orario continuato, dove vanno solo i lavoratori che finiscono gli straordinari, per comprare le strisce depilatorie e i datteri .-.
E poi devo ancora preparare i biscotti allo zenzero con la ricetta di Benedetta Parodi, dato che l'altro giorno a Cotto e Mangiato ha detto che la Vigilia di Natale li prepara sempre da mettere sotto l'albero e al mattino non ci sono più! Quindi i casi sono due: o quella la notte di Natale ha i topi in casa, oppure i biscotti allo zenzero ti piacciono tanto. Quindi boh. Vado a prepararli.
Buonanotte! Azz...scusa, dimenticavo che tu non vai a dormire, solo io, perchè tu devi lavorare, perciò non puoi dormire, ma io invece sì...ok, vado.
Bella Nico, Merry Christmas!

E AUGURI DI BUON NATALE A TUTTI ^^



A Natale puoi;

Un po' però il Natale scazza.
Specialmente quando non ti senti più i bronchi perchè te li sei smaciullati a forza di tossire come un'isterica. Fare auguri a gente che non senti da due vite solo per cosidetta "educazione".
Iniziare a contare le persone a cui dovresti fare dei regali e sbiancare di botto confrontando quei miseri 50 euro nel portafoglio contro le 50 persone della lista.
Sì, perchè a Natale, oltre che ad essere tutti più buoni, siamo anche tutti più ipocriti -.-

giovedì 23 dicembre 2010

La sciarpa rossa

Uno, due. Uno, due. Uno, due. Li contava, i suoi passi, le sue impronte sullo strato sottile di neve.
Voleva farne una fila, lo stampo delle suole delle sue scarpe, una dietro all’altra.
Ondeggiava nell’aria le braccia, cercava l’equilibrio. Dannato equilibrio.
A dire il vero, voleva solo distrarsi, pensare ad altro, possibilmente a niente. Guardava ora per terra, ora in su, piccoli cristalli di ghiaccio le pungevano le palpebre, socchiude leggermente gli occhi ed è accecata dalla luce di un lampione. Il viale era deserto, le ombre dei rami spogli disegnavano inquietanti geometrie sul terreno.
Adesso arriva, lo sai che arriverà. Di solito non doveva uscire da sola, veniva a trovarla per conto suo, senza nemmeno bisogno di chiamarlo. Però quella sera, quando si era ritirata nella sua camera, non si era fatto vivo. All’inizio pensava si stesse nascondendo, ma non trovandolo da nessuna parte, aveva deciso di andarlo a cercare fuori. Per la foga si era scordata la giacca, aveva preso solo la sciarpa. Quella se la ricordava sempre, perchè era rossa, e il rosso era il suo colore preferito. Aveva scavalcato la finestra, si era tuffata nella neve e aveva iniziato a correre, incespicando nei suoi stessi piedi; così, dopo un paio d’ore, era capitata nel viale. Anche se le sue labbra erano viola, le estremità del suo corpo erano ghiacciate, le orecchie le fischiavano a causa del silenzio della città alle due di notte, non ci faceva nemmeno caso, erano niente in confronto a quello che era il suo scopo.
A quel punto, era sicura di essere nel posto giusto, aveva iniziato a compiacersene. Canticchiò una vecchia canzone che aveva sentito da piccola, come facesse a ricordarsela ancora è un mistero. Un barbone che se ne stava accucciato vicino a una panchina giocherellando con un accendino, vedendola aveva iniziato a battere le mani a tempo e aveva sorriso mostrando i suoi unici due denti.
- Ti piace la mia sciarpa? – gli aveva chiesto gongolando, ma lui non aveva risposto, aveva solo emesso una risata rauca e sgraziata.
Dopo che il suo povero amico fu crollato in preda al sonno nel suo cartone, aveva notato un gatto attraversare la via lasciando dietro di sé una scia di minuscole orme. Istintivamente si era voltata e si era accorta che dietro di lei succedeva la stessa cosa. Aveva iniziato a giocare. Sperava che distraendosi il tempo sarebbe passato più in fretta, e lui sarebbe arrivato prima.
Non voleva perdere le speranze, nonostante l’angoscia e la delusione iniziassero a impadronirsi di lei. Alzò lo sguardo, con gli occhi lievemente lucidi. E finalmente lo vide. Poco più di venti metri tra di loro, lo riconobbe ugualmente, per il modo assurdo in cui si vestiva, era sempre stato un po’ egocentrico, ma era così che le piaceva. Sorrideva in modo piacevole. Il cuore iniziò a farsi leggero, finalmente, il suo amore era lì, le era mancato così tanto. Iniziò a saltarellare verso di lui, ridendo forte, tendendo le braccia. Poi qualcosa la trattenne, da entrambe le spalle. Due mani, due persone in camice bianco, una di loro impugnava una cassetta con una croce rossa sopra.
- Eccoti, finalmente! Perchè sei uscita? Lo sai che da sola è pericoloso....-
- Dai torniamo al Centro o rischi di ammalarti seriamente...-
- No, no! Per favore, mi dovete lasciare! Proprio ora che è venuto! – strillava e si dimenava, piangeva, la dovettero trascinare verso la macchina ancora accesa, posteggiata lungo il viale.  
Ora, anziché lasciare impronte, nella neve solo strisce disordinate, lasciate dalle sue ginocchia che strascicavano sul terreno nel tentativo di fare resistenza. La sciarpa scivolò in terra.
- Non c’è nessuno, nessuno! Ti prego, cerca di calmarti, è tutto ok...- nonostante la voce dell’infermiere fosse calma e dolce, la sua disperazione cresceva.  
Lo guardò un’ultima volta, aveva cessato di sorridere, piano piano andava dissolvendosi, si faceva sempre più indistinto, fino a sparire nell’aria, mescolandosi con i fiocchi di neve che cadevano in silenzio. Così come aveva sempre fatto a cominciare da quel dannato giorno in cui l’avevano ricoverata nel Centro.