mercoledì 27 marzo 2013

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C’era una forma e un veleno sotto, sangue rossissimo e occhi nerissimi, poi camminava e aveva un mantello di spine, la pioggia di sguardi si rifletteva e tornava indietro, bruciava gli occhi di chi era senza cuore, di chi era senza passione, di chi aveva fatto diventare l’anima di cemento, di chi aveva spento tutti i rumori, di chi aveva i capelli grigi già a 14 anni, faceva rumore dentro delle scarpe troppo grandi e consumate, come quelle di un prigioniero in un recinto, che corre e scalcia spazzando ogni centimetro di superficie, cercando chissà quale posto lontano dove fumare, ma soprattutto faceva un rumore assordante, un casino micidiale, di strumenti musicali arrabbiati, pieni di ossigeno, pieni di sale, pieni di sesso, note su note sputate dalla gola, dalla pancia, dalla testa, che annebbiano la vista, che fanno venire quasi da vomitare tante sono. E infatti c’era una forma e aveva una storia incredibile, se qualcuno le avesse chiesto di essere raccontata. 

domenica 24 marzo 2013

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Ok, lo spiego io cosa è successo, è successo che avevo solo bisogno di un po’ d’acqua, un po’ di lacrime, un po’ di saliva, per impastarci la polvere, la polvere che ero, e pensavo sempre che ero stata io da sola a grattarmi via la vernice, a farmi venire la ruggine, ma era il tempo, erano gli specchi vuoti intorno a me, era il gelo di una casa con la caldaia rotta, di un sole rassegnato che dormiva dietro le nuvole, e poi le strade senza marciapiedi, senza nessuno che mi schivasse, a farmi calpestare la punta bianca delle scarpe, e i capelli che si sfibravano, arrivavano alla pelle e mi sbriciolavano la testa, polvere.
Poi ci si accorge che non brucia così tanto stringere la mano a qualcun altro, che alla fine non fa così paura, che con quattro mani la polvere la si può impastare molto meglio, e darle forme nuove, interessanti. Che un abbraccio non è poco quando si sentono cedere tutte le giunture delle ossa, che quando si sta zitti si hanno più cose in comune di quando si chiacchiera del più e del meno, e volevo entrarti nella fronte per lasciarti nella testa un’impronta con la mano che non va più via.