domenica 1 luglio 2012

MIA

Mi piace anche solo l’idea di avere una cosa mia. La mia borsa, con dentro i body di diversi tipi e colori, tantissime paia di collant, rosa o nere, tagliate, strappate, cucite, sporche, nuove, porta fortuna e così via. La bustina forata dove metto le mezze, tutte nere e consumate, a cui io stessa ho cucito i nastri di raso. La bustina di plastica con la scritta Grishko, le mie Grishko numero 35 dentro, tutte consumatissime e nere, stupende, che odorano di pece, quell’ “odore vecchio” lo chiamano, l’odore del legno dell’aula e del palco, l’odore della fatica e del lavoro. I lacci li ha cuciti nonna, perché le punte sono una questione importante, e ci va un lavoro raffinato come solo 12 anni di allenamento su scarpette e scarpette può dare. Grazie nonna, grazie mille per aver contribuito e per aver messo le tue mani sottili e precise in ogni mio passo.
Una maglia nera a maniche lunghe, da mettere quando i muscoli ancora non sono caldi, per quando ti fermi e ti senti 

gelare il sudore addosso, oppure proprio per sudarci dentro. Nera, perché ci va disciplina in queste cose.
Le tasche! Un borsello con un mega esercito di forcine, schiere di mollette, retine per capelli piene di quei buchi che fai perché non hai pazienza di scioglierti lo chignon prima della doccia, e le retine sono così delicate, elastici, centinaia, quello sacro che ti prende tutti i capelli in sei giri, e quelli che si rompono sempre. Quel borsello ce l’ho da tutti e 12 gli anni, non penso lo cambierò mai. 
I piccoli ciondoli portachiavi, così esageratamente graziosi, il minuscolo tutù e la minuscola scarpetta, quasi un simbolo, un documento d’identità, oserei dire.
Rotoli di nastro medico, forbicine, a volte del filo rosa, una cavigliera per quando senti male, un burro di cacao, aspirine, sigarette, accendino, pezzi di carta, opuscoli di spettacoli, ricevute dell’affitto dei costumi di scena, monetine, calzini, reggiseno, tampax, tutto che si agita sul fondo di quella borsa, dalla notte dei tempi, qualcosa è cambiato, ma quella mia borsa è sempre parte della mia anima.
Nella mia stanza, accanto al letto, afflosciata anche tu dalla stanchezza, tieni compagnia, ti sento vicina, con tutte le mie avventure dentro, tutte le mie danze, i sorrisi delle mie compagne, le correzioni dell’insegnate, vedo tutto lì, così come lo sento in me.
Il tessuto della tracolla è così liso che si vede l’imbottitura. Ma non si è mai stancata, la tracolla, nonostante le due paia di punte, le bottigliette di acqua, i libri di filosofia per ripassare in aula nei tempi morti. Ogni peso, ogni sfida, sempre sopportato tutto, borsa mia, in giro per teatri, stage, e varie sorte di esibizioni, macchie e polvere, odori e musiche di cui sei impregnata, sei sempre lì, nel tuo alone rosa, il mio zainetto di quando ero piccolina, che sempre mi sembri leggero e morbido, da appoggiare sulla panca del camerino, ad aspettarmi lì finché la lezione non è finita. Che ogni volta che mamma ti lava è una tragedia, da 12 anni, seguo le tue mille giravolte in lavatrice e controllo che ti asciughi senza perdere la tua preziosa essenza. L’essenza della mia borsa di danza.
La mia.